L’emergenza Coronavirus è responsabile di un deciso cambiamento per quanto riguarda il mondo del lavoro. Le aziende, infatti, stanno optando per una particolare tipologia di lavoro: lo smart working. Il lavoro agile, per dirla all’italiana, esiste già da tempo ma potrebbe essere finalmente stato preso nella giusta considerazione a seguito dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo in questi ultimi giorni. Un cambio di direzione così repentino comporta, tuttavia, alcuni rischi non secondari che devono essere presi nella dovuta considerazione. Fra questi vi sono, senza ombra di dubbio, quelli relativi alla privacy ed alla protezione dei dati aziendali e, più in generale, alla cyber security.

Il primo aspetto che bisogna analizzare è relativo all’effettiva sicurezza dei sistemi che vengono utilizzati dal lavoratore da remoto. Numerose aziende (a differenza di quanto predisposto dalle strutture maggiormente organizzate su tale argomento le quali hanno dotato i dipendenti di dispositivi appositamente predisposti allo svolgimento del lavoro all’esterno della sede lavorativa) hanno fatto ricorso a questa tipologia di lavoro soltanto in determinate circostanze e, dunque, non hanno provveduto a regolamentarla in maniera corretta. Proprio in queste circostanze i temi legati alla sicurezza finiscono per non essere presi nella dovuta considerazione e, quindi, vengono messi a repentaglio sensibili dati aziendali. Cominciando ad analizzare la principale criticità, questa è costituita, senza ombra di dubbio, dal fatto che i dipendenti utilizzano i propri dispositivi personali (fra cui anche l’ADSL e le rete WiFi) per l’accesso ai sistemi aziendali. Nella stragrande maggioranza dei casi non vengono assolutamente modificati i parametri standard e, tra l’altro, si trascurano le misure di sicurezza più elementari non adottando sistemi antivirus e antimalware. Non vengono considerati, inoltre, i rischi generici connessi alla navigazione. Le probabilità che le conversazioni aziendali vengano intercettate, dunque, aumentano a dismisura. Proprio per tali ragioni è preferibile non usare sistemi personali del dipendente, installare un sistema antivirus efficiente ed un sistema di gestione remota del PC (attraverso il quale i colleghi tecnici possono monitorare e gestire eventuali situazioni problematiche). Un altro aspetto che deve essere opportunamente considerato è quello relativo al collegamento con i sistemi aziendali. Determinate aziende hanno a disposizione accessi remoti terminalizzati (software Microsoft e Citrix sono quello maggiormente utilizzati, ndr) mentre altri soggetti si avvarranno di software che sono disponibili online. L’attivazione di un canale di comunicazione sicuro tra l’azienda ed il dipendente (VPN) è la condizione più pericolosa in quanto viene messo in comunicazione diretta il sistema dell’impresa con quello privato. Anche l’accesso tramite il login (con user e password per intenderci) pone l’eventualità negativa di garantire l’accesso a soggetti non autorizzati. Un sistema di autenticazione con l’uso di codici e token insieme alla password è in grado di risolvere questo problema. Sarà necessario, in ogni caso, un cambiamento dei codici molto più frequente rispetto alla tipologia di lavoro “normale”. I problemi di sicurezza diventano ancora maggiori in caso di trasferte o di lavoro in mobilità. E’ preferibile, specialmente in queste circostanze, non utilizzare i social media e siti poco protetti, adottare opportune precauzioni quando si utilizzano pc o tablet come paraschermi privacy screen che impediscano la visione dei contenuti ad altri soggetti. Importantissimo è anche non rilevare al telefono preziose notizie aziendali, non usare linee poco sicure senza adeguate garanzie e, infine, non lasciare devices incustoditi.

Si crea, in linea di massima, una situazione in cui i controlli sono necessari per la sicurezza e la correttezza del lavoro al di fuori della sede aziendale ma, allo stesso tempo, il dipendente deve poter avere accesso ai sistemi lavorativi. La possibilità che un gran numero di smart worker possano collegarsi contemporaneamente, invece, non costituisce, per la stragrande maggioranza dei complessi aziendali, una reale difficoltà. 

L’atteggiamento psicologico del lavoratore è fondamentale per lo svolgimento in maniera efficace dello smart working. Il lavoratore agile deve considerare la propria prestazione professionale come “il proprio lavoro” e, dunque, deve organizzare all’interno del proprio domicilio una postazione dedicata esclusivamente alla sua attività. Una working station che deve rispondere agli stessi requisiti di quella presente all’interno dell’azienda di riferimento. Il raggiungimento degli obiettivi, come detto in precedenza, è la meta da raggiungere. Proprio per questo il dipendente renderà conto del suo lavoro e, conseguentemente, darà e riceverà dei feedback rendendosi disponibile. Proprio l’orario deve essere preciso e, durante quest’ultimo, le interruzioni devono essere ridotte al minimo. Come è necessario limitare le interferenze di vario tipo con altri soggetti presenti in loco e, tali soggetti, devono essere estromessi dalla visione delle informazioni aziendali. 

Bisogna, sul piano di vista organizzativo, tenere in considerazione che il dipendente va inquadrato nella giusta ottica. E’ necessario, infatti, che sia definito un regolamento ed una procedura che deve tenere presenti i principi juslavororistici. I dipendenti, inoltre, hanno bisogno di essere dotati dei mezzi necessari per operare in maniera agile e vengano forniti delle necessarie tecnologie e della formazione proattiva per la condivisione protetta dei documenti. L’azienda, inoltre, deve elaborare un piano di lavoro condiviso per capire la divisione del lavoro e gli effettivi compiti svolti dai diversi soggetti. Fondamentale è la presenza di un team leader con il compito di coordinare i differenti gruppi di lavoro sia che essi operino totalmente con modalità smart working o, piuttosto, attraverso formule miste. L’organizzazione dell’impresa, inoltre, deve elaborare un modello che faciliti la rendicontazione (senza effettuare un illegittimo controllo a distanza) delle attività svolte attraverso il lavoro agile per evitare che si possa creare un sovraccarico di tipo burocratico. E’ di primaria rilevanza, poi, che venga chiarito dall’azienda quali potrebbero essere i trattamenti dati pertinenti ai lavoratori nell’ambito dello smart working. Il tutto tutelando gli stessi. L’organizzazione, quindi, deve essere in grado di gestire l’aspetto relativo alle licenze software (nel caso vengano utilizzati device personali del dipendente), regolamentare le situazioni relative ai diritti di proprietà intellettuale dei contenuti sviluppati su dispositivi privati, definire le modalità di accesso ai dispositivi privati (sia per indagini interne che da parte delle autorità) e gestire la concessione e la revoca dei privilegi e dei diritti di accesso alle informazioni quando venga posta fine all’attività di smart working. Non è da escludere la possibilità di sottoscrivere delle polizze assicurative di carattere specifico. 

Per comprendere la reale portata del lavoro a distanza è importante tenere in considerazione le disposizioni previste dalla famiglia delle ISO/IEC 27000. Disposizioni che confermano sostanzialmente quanto detto in precedenza. Tali norme (che riguardano anche i casi di postazioni occasionali) prevedono che “deve essere attuata una politica e delle misure di sicurezza a supporto per proteggere le informazioni accedute, elaborate o memorizzate presso siti da telelavoro”. La linea guida “ISO/IEC 27002:2013 Tecnologie Informatiche – Tecniche di Sicurezza – Codice di pratica per la gestione della sicurezza delle informazioni” afferma che “il telelavoro si riferisce a tutte le forme di lavoro condotte al di fuori dell’ufficio, compresi gli ambienti di lavoro non tradizionali quali quelli indicati come “telecommuting”, “posto di lavoro flessibile”, ambienti di “lavoro remoto” e di “lavoro virtuale”.

In un momento di emergenza sanitaria, dovuta all’epidemia del COVID-19, si parla tantissimo di smart working come strumento per continuare a produrre anche in un momento di crisi. Il Governo è intervenuto in maniera pronta (attraverso un Decreto del Presidente del Consiglio che consente l’attivazione dello smart working anche in assenza di un accordo individuale, ndr) per rendere più immediato il ricorso a questa forma di lavoro soprattutto nelle aree considerate a rischio diffusione Coronovirus. 

Secondo quanto previsto dall’art. 18 L. 81/2017 il lavoro agile è “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli orari e spaziali nonché una organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi”. All’articolo 19, sotto un profilo puramente giuslavoraristico, la normativa prevede che “l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministartiva e della prova, e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Detto questo, smart working e telelavoro non sono sinonimi. Il telelavoro (diffusosi a partire dagli anni Settanta) è un termine attraverso il quale si indica che l’attività professionale si svolge a distanza. Con l’Accordo Quadro del 2004 tale modalità viene regolamentata in dettaglio e segue norme specifiche. Lo smart working o lavoro agile si differenzia dal telelavoro sulla base che non esiste più la necessità di legarsi ad un luogo fisico fisso. Quindi una location equivala all’altra e non è necessario che sia lo stessa sempre e comunque. Anche l’orario viene autodeterminato e l’aspetto importante è il raggiungimento del target prefissato. Ai lavoratori smart, come è facilmente comprensibile, viene garantita la parità di trattamento economico e giuridico. 

Lo smart worker, tirando le somme, deve avere un grado di sensibilità superiore soprattutto per quanto riguarda la privacy. Questa tipologia di attività, rispetto al lavoro tradizionale, deve essere maggiormente orientata ai target aziendali. La possibilità di lavorare al di fuori della sede aziendale permette di conciliare il lavoro con le esigenze familiari oltre ad ammortizzare i costi ed i tempi di spostamento. Non vanno sottovalutati, tuttavia, degli svantaggi per il lavoratore come una difficoltà maggiore nel reperire informazioni ed anche una minore socialità. Per l’azienda il lavoro agile rappresenta una possibilità di raggiungere performance migliori, di accedere ad aiuti di natura fiscali, di ridurre le postazioni di lavoro, evitare conflittualità fra i dipendenti e, infine, ridurre i costi (anche se vanno considerati le spese per fornire la necessaria attrezzatura al dipendente) generali di esercizio. Lo scotto da pagare, come già descritto in precedenza, è un maggior rischio di carattere informatico.