La cartella di pagamento e l’iscrizione a ruolo diventano illegittime a seguito della sentenza la quale accoglie il ricorso, proveniente da un contribuente, che va ad annullare l’atto impositivo da esse presupposto. Una pronuncia che, in sostanza ed indipendentemente dal passaggio in giudicato, fa venir meno il titolo sul quale si fonda l’effettiva pretesa tributaria. Si priva quest’ultima del supporto dell’atto amministrativo che tende a renderla legittima e si esclude, dunque, l’ulteriore possibilità che possa divenire oggetto di qualunque forma di riscossione provvisoria.
L’orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. Civ. n. 19750/0014) indica che il processo tributario è da includere non tra quelli di “impugnazione-annullamento” ma, piuttosto, tra quelli di “impugnazione-merito”. Il procedimento in analisi, più nello specifico, non si rivolge alla semplice eliminazione dell’atto impugnato ma si conclude, invece, con una pronuncia di una decisione di merito che sostituisce, quindi, sia la dichiarazione del contribuente sia l’accertamento dell’amministrazione stessa. Ciò perché il processo tributario si estende interamente al rapporto d’imposta.
Va detto che la Corte di Cassazione, in più occasioni, si è occupata delle problematiche facenti capo alla validità ed all’efficacia della cartella di pagamento. Fra questi interventi va segnalato il principio espresso nella sentenza delle Sezioni Unite n. 758/2017 per fare chiarezza sulla tematica secondo cui “l’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dal DPR n. 602 del 1973, articoli 11 e 15 bis, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia se già effettuata, adottando i consequenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata”.
Attraverso l’ordinanza n. 33318, la Corte di Cassazione ha chiarito ulteriormente che i principi appena citati (utilizzabili anche in caso di ruoli straordinari) sono applicabili anche al ruolo ordinario. L’articolo 68 D.Lgs. 546/1992, a tal riguardo, dispone: “Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza”.
In sintesi le cartelle che hanno perso il presupposto legittimante sono divenute illegittime non potendo considerarsi una sorta di “connotazione elastica” che avrebbe avuto l’effetto di farle prendere nuovamente vita come conseguenza di un’eventuale riforma della sentenza di annullamento dell’atto impositivo.
Tornando al discorso iniziale e sulla base di quanto detto in precedenza, nell’evenienza che un giudice, in maniera totale o parziale, annulli l’atto impositivo (nella sua totalità o nei limiti della parte annullata) quest’ultimo non può che perdere efficacia in quanto titolo idoneo a legittimare una specifica azione di riscossione provvisoria, anche quando quest’azione abbia un carattere spiccatamente cautelare. Il riconoscimento all’istituto di una capacità di resistenza all’annullamento dell’avviso di accertamento che ne costituisce il presupposto di base non ha fondamento normativo e, altro elemento fondamentale, non provvede ad un equo bilanciamento degli interessi che vengono a contrapporsi.
Anche l’iscrizione a ruoli straordinari (articolo 15 bis D.P.R. 602/1973) non viene esclusa dalle conseguenze della pronuncia giudiziale non definitiva che incide sulla legittimità dell’atto impositivo che ne costituisce il titolo.
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